E' ormai tutto pronto per l'inizio della Coppa d'Africa 2010 quando, il 9 gennaio, la nazionale del Togo, diretta in Angola con il proprio pullman, viene aggredita da un gruppo di ribelli separatisti a Cabinda, al confine con il Congo. Il mondo del calcio rimane attonito di fronte a questo avvenimento. Dopo poche ore arrivano le prime immagini TV: è sconcertante il viso sotto shock di Emmanuel Adebayor, bandiera e giocatore più rappresentativo del gruppo. Il bilancio è di 3 morti: l'autista e due membri dello staff, mentre due sono i giocatori feriti. Normale e comprensibile la decisione della federazione togolese di ritirare i propri calciatori dal torneo, decisamente meno invece quella della CAF (subordinata africana della FIFA) che decide di fare svolgere regolarmente il resto delle partite. Come possono rendere i giocatori in un clima di tale ansia? E come possono sopportare i rispettivi club l'idea di poter perdere un proprio giocatore? Francamente, anche se Freddy Mercury cantava “the show must go on”, in certe situazioni è meglio non rischiare.
Il mondo del calcio, che ormai non è nuovo a situazioni di questo genere, aveva appena ricevuto pesanti critiche (in Europa) per le partite rinviate a causa dell'inefficienza dei campi da gioco. Ora io dico: al meteo non si può comandare, ma alle proprie finanze sì; ed è per questo che rimango stupefatto vedendo milioni e milioni spesi per i calciatori, mentre certi stadi versano in condizioni imbarazzanti.
Balzano facilmente alla mente le 4 partite rinviate in serie A lo scorso dicembre (due delle quali per impraticabilità non dei campi ma degli spalti!). Mi è parso un po' tardivo l'intervento del CONI con la sua “donazione” di uno staff di agronomi per la salvaguardia dei terreni di gioco.
Quando i più anziani dicono che il calcio sta marcendo mi dà fastidio, ma di sicuro non posso dire che andando avanti così migliorerà; ed è per questo che, da tifoso e appassionato, provo ad immaginare il gioco del pallone senza politica, senza mafia, senza rischi e senza paure. La mia è solo un'utopia?
Andrea Guarnieri