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Attualità - Anoressia e tossicodipendenza: due analoghi modi per sopravvivere invece di vivere - di Maura Malpetti

Anoressia e tossicodipendenza sono due dei principali problemi sociali posti all'attenzione dell'opinione pubblica negli ultimi decenni: il continuo aumento della loro diffusione nella società contemporanea dimostra come la visione del mondo delle popolazioni cosiddette “benestanti”, soprattutto quella delle ultime generazioni di adolescenti, volga gradualmente verso il degrado, associato ad una mancanza di adattamento sempre più profonda dinanzi ai problemi personali.


Se questi due problemi vengono trattati indipendentemente e in modo superficiale, come avviene nella maggior parte dei casi sui quotidiani, nei forum o nei film che li propongono, quello della drammaticità vissuta da chi ne riscontra gli effetti direttamente o attraverso le vicissitudini di una persona cara appare l'unico filo comune che li congiunga; ma, spostando il baricentro della questione sui meccanismi psicologici innescati nella mente di chi ne soffre, si può trovare una stretta correlazione fra i due fenomeni: lo stato introspettivo dell'anoressia, infatti, è caratterizzato da un confuso nichilismo, comune anche spesso alla tossicodipendenza.

“A volte mi guardo allo specchio e non mi sopporto. La mia magrezza non mi piace, non ne vado più fiera, per questo evito di comprarmi vestiti, perché quando vado in un negozio di abbigliamento devo fare i conti, fino in fondo, con un'immagine di me che non vorrei vedere. Ma poi, al momento di mangiare, torno a pesare tutto, a conteggiare ogni caloria. Mi sento come un tossico che sa quanto la droga lo danneggi, ma non può fare a meno di prenderla ogni giorno.”

Queste parole di Elisabetta, una trentenne che convive con lo spettro dell'anoressia fin dall'adolescenza, spiegano in modo diretto ed eloquente il dramma che la malattia la costringe a vivere. E non a caso ella si confronta con un tossicodipendente, richiamandone il bisogno fisico e mentale di assumere droga, nonostante la consapevolezza degli effetti distruttivi che comporta quell'atto sulla propria vita. In entrambe le situazioni i protagonisti sono convinti di poter padroneggiare le proprie abitudini, affermando spesso: “Posso uscirne quando voglio”. Cercando di negare così lo stato di sofferenza in cui si trovano, e di zittire la lucidità che a tratti ritorna nella loro mente, allontanano la razionalità, vista non come lo spiraglio di speranza per una via di fuga dal tunnel, ma come minaccia per un equilibrio che si illudono di aver raggiunto nel proprio stato paradossale, bipartito tra volontà e dipendenza.

Elisabetta, in una delle sue sedute psicoanalitiche, continua il paragone col mondo della droga, dicendo:“Forse non sono ancora in grado di non farmi del male. Come un tossico, appunto, che si fa di eroina sapendo di rischiare la vita. Non c'è bisogno che me lo dicano gli altri, perché ormai me lo dico da sola che così non va. Mi faccio tanti discorsi, mi parlo spesso cercando di convincermi a smettere questa battaglia contro le calorie. Però ho ancora paura della bambina grassa che ero.” La dipendenza da sostanze stupefacenti e l'anoressia sono disturbi che traggono spesso origine nel bisogno di fuggire dallo spettro di una vita insoddisfacente, caratterizzata da lacune affettive e momenti in cui la drammaticità ha il sopravvento sulla razionalità.



La “bambina grassa”, citata da Elisabetta, diventa qualcosa da rimuovere dal passato, e da evitare nel futuro: per le anoressiche, la paura verso quella “bambina” rappresenta il timore di perdere il “controllo” sul proprio corpo dagli istinti della fame, rischiando così di ricadere nell'insoddisfazione fisico-mentale che caratterizzava la loro vita precedente alla malattia. Nella tossicodipendenza, invece, oltre al bisogno fisico di assumere droghe, ciò che porta i tossici a far uso di queste sostanze è l'incapacità di “sopportare” alcune situazioni della propria vita. La paura della “bambina”, in questo caso, rappresenta il terrore della lucidità, e tutto ciò che comporta: consapevolezza del malessere emotivo in cui si trovavano prima di cadere nel tunnel della droga, e il dover affrontare i problemi esistenziali fino ad allora anestetizzati con l'assunzione di certe sostanze.

Una paura potente quanto inconfessabile porta anoressiche e tossicodipendenti a vivere in una dimensione apparentemente insensata, se osservata con l'uso della logica, ma estremamente complessa per chi la vive e per chi cerca di comprenderne il dramma. Quell'intima paura porta queste fragili persone a camminare come consumate equilibriste sul filo della fame e della dipendenza da stupefacenti, senza mai percorrere un vero cammino.

E in uno stato illusorio di armonia paradossale, cessando l'arte di vivere, intraprendono la via della sopravvivenza, nella quale non sono ammesse quella complessità e quella tragica comicità che rendono grandiosa la vita.

Maura Malpetti